Marija è scaltra e ben decisa a inseguire il suo obiettivo: aprire un salone da parrucchiera. È arrivata in Germania dall’Ucraina e la vita degli immigrati non è facile, si sa, così lei sbarca il lunario come può. Lavora come addetta alle pulizie in un hotel di Dortmund ma, quando viene scoperta rubare e licenziata, il sogno di poter guadagnare abbastanza per rendersi indipendente pare svanire. Marija, un po’ per disperazione e un po’ per necessità, decide così di prendere la scorciatoia del sesso e si concede prima al padrone di casa per soldi, poi intesse una relazione con George, un losco costruttore edile, per ottenere il denaro necessario ad aprirà la sua impresa. L’apertura del salone, infatti, è più importante di qualsiasi altra cosa, anche dei sentimenti, e le persone sono solamente il mezzo per ottenerla.
Marija, opera prima dello svizzero Michael Koch, è un ritratto duro della società odierna, in cui il gioco della sopraffazione ha la meglio su tutto e tutti. Questo mondo non è il migliore dei posti possibile, sembra dirci il regista, soprattutto perché ogni cosa ha il suo prezzo e quello che dovrà pagare Marija sarà il sacrificio del sentimenti. Diretto senza tanti fronzoli, fotografato in modo severo e ben scritto attorno ad ogni personaggio, il film di Koch affascina e avvince fino all’ultima inquadratura che, circolare, chiude sul personaggio del titolo che vediamo affrontare il proprio destino in modo fiero, duro, determinato ma fondamentalmente solo.