Mr. Universo

 

mr. universo
 
Un film piccolo non sempre è anche un piccolo film. Mr. Universo, quinto lavoro della coppia Tizza Covi-Rainer Frimmel, realizzato con pochi mezzi e tanto impegno, racchiude in se un micro universo di storie e personaggi che pochi film cosiddetti grandi possiedono. Il luogo di tutte queste storie, ancora una volta, è il circo: un mondo diviso tra passato e presente, misterioso e a volte intellegibile. Un piccolo circo italiano dalla patina lucente eppure sempre in lotta per la propria sopravvivenza (se qualcuno qui volesse leggervi una metafora con il Paese Italia non sbaglia di molto), all’interno del quale seguiamo la vita del giovane domatore Tairo, il suo legame con la contorsionista Wendy e la rivalità con i vicini rumeni, con i quali è tutto un gioco di scherzi reciproci. Quando però, sempre per scherzo, a Tairo sparirà il suo amuleto portafortuna – un ferro piegato donatogli da Mr. Universo, l’uomo più forte della terra – , il ragazzo si sentirà vulnerabile fino a non riuscire più a entrare nella gabbia a domare tigri e leoni. La soluzione potrebbe essere quella di andare alla ricerca del mitico uomo forzuto e avere un nuovo amuleto. Comincia così un viaggio che da Roma lo porterà a Varallo Pombia a conoscere un Mr. Universo ormai vecchio che non potrà più piegargli un nuovo ferro, ma donargli un abbraccio di valore ancora più alto.

Come Tairo, la coppia Covi-Frimmel è un domatore capace di catturare tante storie, riunirle in un’unica gabbia e metterle al servizio di un lungo unico racconto. Le storie di Tairo, Wendy, Arthur Robin (Mr. Universo) e di tutti i personaggi che il giovane domatore incontra nelle tappe verso la meta formano una sceneggiatura fatta di piccole emozioni. Una sceneggiatura scritta apposta per i personaggi e sui personaggi capace di muoversi leggera tra cinema neorealista e quello surreale di Fellini (La strada, Le notti di Cabiria). Mr. Universo, non è un capolavoro e neppure destinato a entrare nella storia del cinema, ma è buon lavoro umano, sincero, tenero che non ha difficoltà a farsi amare. E non è poco.

Achilli 2 di 6

La testa di Achilli era grande, sproporzionata rispetto il corpo. La pettinatura, folta ai lati e quasi assente al centro, contribuiva a renderla ancora più grande. La prima volta che Adriana lo incontrò al colloquio di lavoro gli ricordò il vecchio bolso leone albino che aveva visto allo zoo di Varallo Pombia da bambina. Le sarebbe piaciuto andare in Africa a vedere i veri leoni, ma gli unici che aveva potuto avvicinare erano stati quelli dello zoo safari. I biglietti glieli aveva procurati la zia Faustina, che allo zoo ci lavorava come guardiana al farfallario. La zia diceva che faceva la ranger del parco, ma in realtà l’avevano messa a guardia di tante farfalle appese al muro con uno spillone perché col tempo era riuscita a far fuggire due gnu e a scatenare una rivolta tra i babbuini. Solo allora la direzione decise che forse avrebbe fatto meno danni tra i lepidotteri, ma Faustina soffriva. A lei piaceva parlare con gli animali e gli gnu erano scappati, a quanto disse alla nipote, solo perché lei gli aveva raccontato di quanto bello fosse il mondo fuori dalle gabbie. Mentre per i babbuini il caos scoppiò solamente a causa di un malinteso amoroso. La classica parola di troppo detta al momento sbagliato. L’anno in cui Adriana andò con i genitori a far visita al parco coincise anche con l’ultimo di lavoro della zia. Faustina infatti decise di accettare il trasferimento in Abruzzo come guardia parco e Adriana la vedeva oramai soltanto il giorno di Natale quando la zia saliva al nord per stare un po’ con la famiglia.
LEONE
“Geometra.. Io andrei” – disse Adriana alzando un poco la voce  e scandendo bene le parole.
Achilli stava diventando ogni giorno più sordo. Non se ne era accorto immediatamente, perché era abituato a farsi ripetere le cose dalle persone che parlavano con lui. Spesso era distratto e non sempre sentiva ciò che gli veniva detto. Negli ultimi mesi, invece, l’udito aveva cominciato a calare sensibilmente ed erano sempre più frequenti le volte in cui si trovava smarrito di fronte agli interlocutori: si aspettavano risposte che non sapeva dare. Anche le orecchie avevano cominciato a crescere. I lobi si erano ingrossati e la cartilagine si era allungata. Un po come le piante che sviluppano maggiormente la parte alla ricerca della luce, così le orecchie di Achilli stavano prendendo le dimensioni di due piccole parabole per captare quello che il timpano non riusciva più a fare. Almeno così gli piaceva pensarla.

(2 – continua)